Intervento del Presidente Guido Bardelli al Direttivo del 15 Novembre a Bologna

INTERVENTO DEL PRESIDENTE GUIDO BARDELLI AL DIRETTIVO DEL 15 NOVEMBRE A BOLOGNA

Bologna 15 novembre 2023

Carissime e Carissimi,
l’occasione di intervenire a questo direttivo mi offre la possibilità di rivivere con voi la mia esperienza di CDO di questi quattro anni.

Avvio della Presidenza e emergenza Covid 
È inevitabile partire dall’ emergenza Covid che, come sapete, dopo poche settimane dal mio insediamento ha investito la nostra associazione e tutto il mondo. In questa società liquida (uso la definizione del sociologo Bauman che utilizzo spessissimo perché lo ritengo uno dei geni del mondo moderno) ove siamo costantemente bombardati da notizie e novità, il Covid sembra ormai un ricordo remoto, ma in verità parliamo di due anni fa.
La mia esperienza come, immagino, quella di tutti voi, è stata prima di tutto di paura per la salute personale e dei propri cari oltre che per il lavoro, per il futuro della nostra società. Mi sono chiesto che cosa potesse vincere la paura, la mia paura innanzitutto.
L’unica risposta razionale mi è parsa quella di provare a creare un clima che permettesse di affrontare la paura, senza che venisse meno lo sguardo sulla realtà, senza nasconderci o, come ci ha sempre ricordato Papa Francesco, “Senza guardare il mondo da un balcone”. In altre parole, ho pensato che potessimo affrontare questa circostanza terribile per la vita delle nostre famiglie e delle nostre imprese in un solo modo: operando insieme. Mi sembra che oggi qualcuno tra noi abbia detto che gli slogan hanno importanza. È vero.  Quello slogan “fare insieme”, venuto fuori con alcuni amici, per me è stato un punto di svolta rispetto alla CDO di quel periodo.

La prima lezione: “fare insieme”
Ecco la prima lezione: ciascuno di noi è stato messo alla prova da questa circostanza drammatica e da questa crisi epocale.  “Fare insieme”. Ci è parso un primo passo per evitare i richiami teorici – e ce ne erano moltissimi, bastava vedere i telegiornali di ogni sera – e permetterci di continuare a stare e abitare la realtà. Mi è sembrata ancora più vera la famosa frase di Hannah Arendt “una crisi ci costringe a tornare alle domande. Una crisi esige da noi risposte nuove o vecchie, purché scaturite da un esame diretto. E tutto questo si trasforma in una catastrofe solo quando noi cerchiamo di farvi fronte con giudizi preconcetti, ossia pregiudizi, aggravando così la crisi rinunciando a vivere quella esperienza che ci viene offerta dalla realtà.

Amicizia quale esperienza diretta
Dobbiamo sempre partire dagli esempi per pensare alla CDO del futuro. L’ amicizia che viviamo all’interno di CDO è stata questa “esperienza diretta” di cui parla Hannah Arendt. È diventata un’esperienza fondamentale. Il tutto dopo che per anni, per alcuni di noi, vi era stata una frequentazione “episodica”. Abbiamo realizzato tantissimi incontri, anche in video, che sono stati una grande ricchezza in quel periodo incredibile. Non dobbiamo dimenticarcelo anche quando guardiamo i limiti della CDO. Non è stato chiaramente un merito mio, ma durante il Covid – e anche dopo – vi è stato un fiorire di iniziative a livello locale incredibile. Mi ricordo un nostro amico che diceva di aver riscoperto la CDO, in particolare “Fabbrica per l’Eccellenza” e di fronte alla mia domanda “ma scusa, tu che sei stato tanti anni, hai fatto il presidente, sei stato responsabile etc.…perché hai scoperto la CDO?”  E lui mi disse “perché ho una paura pazzesca”.  Per lui la paura è stata un punto di non ritorno per riscoprire l’importanza della CDO.   In altre parole, la rilevanza della CDO nasce dal fatto di nutrire dei bisogni. Nel bellissimo lavoro di ripresa condotto attraverso la ripubblicazione de “L’io il potere e le opere” che abbiamo fatto questa estate, come CDO abbiamo colto chiaramente come la Compagnia nasce per rispondere a dei bisogni molto concreti (come il vino dei nostri amici di Alcamo).  Perché questi bisogni sono così importanti? Perché un genio come Don Giussani ha detto che bisogna partire da lì? Dalle esigenze particolari di un gruppo di amici che iniziavano un’avventura imprenditoriale e che gli sembrava più importante di ogni progetto anche politico. Perché è attraverso queste esigenze concrete che prende forma quel desiderio di infinito che è insito in ogni persona. Per questo è importante “fare la CDO”, che vuol dire affrontare i bisogni dei nostri soci. Questo concetto meglio di me lo ha esposto il rettore Javier Prades nella sua lezione al direttivo nazionale del 9 aprile 2022.

La lezione di Prades 
Ci è stato ricordato genialmente da Prades nella sua lezione:” se uno vuole lavorare” – dice Prades “il bisogno è quello! Io non posso dire a lui che il punto non è quello. Il punto è quello. Per questo rischio il mio giudizio; quel punto (il voler lavorare) è molto di più rispetto a quello che lui stesso coglie”. Continua Prades: “Se io ho questa impostazione, nel provare a farlo lavorare ci sarà dentro questo giudizio (io qui aggiungo “contraccolpo”): se queste cose rimangono a margine come un giudizio spirituale è meglio che andiamo a casa”. Sono sempre parole di Prades: “Non è una impostazione a margine, ma è insita nella nostra azione. Non è un richiamo spirituale, ma è dentro la nostra azione; noi siamo figli di questa realtà.” Questa è la CDO. Non dobbiamo inventare qualcosa di nuovo, perché è un problema di tutti gli uomini e le donne di buona volontà. Il bisogno è fondamentale perché ti introduce ad un bisogno più grande.  E noi partiamo per vendere il vino agli altri e non per fare un discorso filosofico. Certo, i bisogni sono cambiati radicalmente rispetto all’inizio del nostro agire. Oggi gli stessi amici di Alcamo non avrebbero un bisogno apparentemente così banale, perché la complessità della società e della commercializzazione di un prodotto è incredibile. Questo è il punto. Ma quello che mi ha colpito e impressionato leggendo alcuni documenti in questi giorni è che questa cosa ci viene costantemente detta e ricordata dalla Dottrina Sociale della Chiesa. È un pensiero di Benedetto XVI che troviamo nell’Enciclica Caritas in Veritate.

Recentemente mi è capitato di leggere il terzo capitolo FRATERNITA’, SVILUPPO ECONOMICO E SOCIETA’ CIVILE: “La  dottrina sociale della Chiesa ritiene che possano essere vissuti rapporti autenticamente umani di amicizia e di socialità, di solidarietà e di reciprocità anche all’interno della attività economiche e non soltanto fuori di essa o “dopo” di essa”.

Questa sfida, questo richiamo lo viviamo in un contesto sociale caratterizzato da un forte individualismo. La società è cambiata. Oggi qualcuno di voi lo ha detto. In questo momento storico parlare di amicizia sul lavoro non è come parlarne trent’ anni fa quando si avevano il sindacato e l’associazione degli imprenditori “forti” e  si aveva una vita ramificata a livello sociale. È diverso, sicuramente diverso. Ricordo una frase del professor Sapelli pronunciata in Camera di Commercio a Milano: “Ma non vedete che non resta insieme più nulla?” Lo disse 20 anni fa. Questo grido lo vedo concretizzarsi ogni giorno. Non sta insieme più nulla. Quindi già il fatto che vi sia qualcosa che sta insieme come oggi avete dimostrato è una cosa che dovrebbe fornirci un minimo di contraccolpo. Anche noi, a volte, abbiamo questa tentazione, non viviamo sulla luna.

Le parole di Benedetto XVI – come quelle di tutta la Dottrina Sociale della Chiesa – da Leone XIII a Francesco sono un invito e una provocazione continua al nostro agire quotidiano.  Come si può parlare di amicizia, come si può parlare di solidarietà quando nel mondo, nei nostri mondi di presenza professionale e imprenditoriale, sembra predominare il celebre motto di Gordon Gekko, il personaggio del film di Oliver Stone “Wall Street” “greed is good” ossia “l’avidità è buona”?

Non voglio tornare a parlare di Covid – anche se per me quegli anni sono stati incredibili proprio per la loro drammaticità affrontata quale Presidente CDO – ma è evidente che in quell’occasione, dal primo Covid ogni uomo di buona volontà ha sentito istintivamente il forte l’invito a mettersi insieme. Legarsi l’uno all’altro. Dobbiamo però riconoscere come questo spunto sociale iniziale spesso è finito. Ed è capitato anche a noi. Perché non facciamo esperienza di quanto vissuto.  Non facciamo esperienza di come ogni giorno incertezza, insicurezza precarietà ostacolano il nostro fare insieme.

Pochi giorni fa Susanna Tamaro sul Corriere della Sera ha scritto un’illuminante riflessione sull’assenza di cultura in Italia. Assenza di cultura nella nostra società. È un discorso che si lega alla nostra doverosa ricerca di amicizia nel fare impresa. Così scrive: “un essere umano senza domande acquisisce la stessa fragilità che hanno gli ungulati quando rimangono separati dal branco: diventano una preda in balia del predatore di turno. Se non sappiamo chi siamo né dove andiamo, presto arriverà qualcuno che ce lo dirà, e noi gli saremo grati perché ci libererà dalla sensazione di insicurezza; saremo pronti ad aderire a qualsiasi fanatismo, a compiere ogni atto che ci verrà richiesto perché non esistendo più un nord e un sud, un est e un ovest, un bene e un male, l’unica voce che saremo in grado di seguire è quella che ci impone di schierarci dalla sua parte”.  Non siamo lontani dalla domanda di Giulio Sapelli che ho ricordato poco fa. Ma noi non possiamo arrenderci a questi scenari. Noi siamo stati educati a cercare un senso. In questo caso un senso profondo della propria esistenza. A non scansare le domande, ma a porcele. A cercare di avere un rapporto con il potere che non è di sottomissione perché il nostro fine è la libertà. Sicuramente riprendere il libro “L’io, il potere e le opere” è stato dal mio punto di vista illuminante. Ma sempre Susanna Tamaro nel suo articolo ricordava il pensiero del teologo italo-tedesco Romano Guardini, tanto amato da Papa Francesco, il quale scrisse un testo sul futuro dell’Europa: “Ma oltre alla bomba atomica, non vogliamo dimenticare quell’altra possibilità di esercizio di potere, cioè quello di penetrare nell’animo umano, nell’individuo, nella personalità”. come quindi resistere a questa tentazione? La risposta la conosciamo. La risposta che la nostra storia ci ha dato è l’amicizia operativa come antidoto.

L‘amicizia operativa come antidoto
La CDO propone una amicizia operativa. Ossia un’amicizia basata su un riconoscimento reciproco. Un riconoscimento che si basa sul rispetto e sulla volontà di evidenziare nell’altro una preziosità. Quale riconoscimento? Quello di un bisogno comune. La stima dell’altro non è una questione etica. Non dobbiamo avere passione per l’altro perché dobbiamo essere a tutti i costi più buoni. Questa cosa stufa. Sono i bisogni a mettere insieme gli uomini e le donne di tutti i tempi; il riconoscimento di un bisogno comune è l’unica speranza perché ci sia permesso di stare veramente insieme. Questa amicizia sarà tanto più forte, quanto più la ragione per cui stiamo insieme avrà a che fare con la necessità di esaltare il nostro desiderio più vero. Questa è stata la mia esperienza di amicizia con alcuni di voi in questi anni. Con alcuni è nata un’amicizia per la vita, del tutto inaspettata. Trovare a 61 anni degli amici per la vita vuol dire che questo luogo ha al proprio interno veramente qualcosa di particolare. Ho trovato degli amici per la vita, e non solo quelli che ho frequentato quotidianamente, ma anche quelli che magari mi venivano a trovare saltuariamente ma dentro una relazione sempre più profonda. Questo è un punto di non ritorno.  Ciò si genera perché io e quegli stessi amici abbiamo iniziato a fare la presidenza di CDO con un bisogno concreto. Al contrario sarebbe un fatto etico o un’alleanza tra persone che hanno progetti comuni.

Se tra le persone con cui si fa CDO nascono dei veri rapporti per la vita vuol dire che queste persone si sono messe insieme avendo dentro di sè una domanda grande sul senso del proprio lavoro, del rapporto con i propri dipendenti.  È quindi l’adesione e l’aderenza rispetto alla realtà che ci circonda. È quello che ho sperimentato e vissuto con tutto il magnifico staff operativo di CDO a partire da Beppe Frigerio e non cito altri per non dimenticare nessuno.

La crisi e le tre sfide
Crisi economica, ma anche sociale. Crisi che contiene tre sfide (trasformazione digitale, mercato del lavoro, politica economica), come ci ha ricordato il dott. Mercuri durante l’incontro tenuto a Cascina Triulza lo scorso gennaio. Quanto ci offre la realtà è un’occasione unica per approfondire il senso di un’amicizia operativa. Il dramma dei tempi o è una maledizione o è un’occasione da cogliere. Dobbiamo scegliere. Non è un richiamo etico che vi faccio io o che vi farà il nuovo presidente, o chiunque altro. È una scelta vostra. Come vogliamo affrontare il dramma di questi tempi? È una maledizione o un’opportunità? Questo dobbiamo sceglierlo. Lo deve scegliere la Chiesa, lo devono scegliere le associazioni, lo devono scegliere tutti. Questo significa affrontare il cambiamento.

La nostra esperienza di questi anni ci dice però che il fare insieme e il mantenere questa amicizia operativa non è semplice. Non nascondiamocelo: la tentazione dell’autoreferenzialità è presente anche nelle nostre realtà.

Come affrontare la sfida della autoreferenzialità che resta e resterà comunque un punto di passaggio fondamentale per la CDO dei prossimi anni? Dobbiamo partire ancora una volta dai nostri bisogni per consolidare i rapporti tra di noi.

La via è, apparentemente, semplice. Occorre che ciascuno di noi verifichi seriamente se le proprie esigenze che riguardano il lavoro, la propria intrapresa, i rapporti che coinvolgono gran parte della nostra giornata vengono affrontati al meglio grazie al confronto sincero con gli altri e con una conseguente apertura a ciò che avviene. In ogni relazione c’è sempre qualcosa di inaspettato e misterioso. Altra modalità si ottiene facendo precedere il pensiero (sulla CDO, sulla propria azienda, sui collaboratori) all’azione. L’esperienza del dualismo (che è l’altra faccia dell’individualismo che caratterizza, come ci ha spiegato ancora Prades, la nostra società attuale) è proprio determinata da questa opzione: il pensiero prevale sull’azione.

La Cdo del futuro
Tornando alla Compagnia a questo punto qual è il compito (e quindi se volete l’immagine della CDO) per il prossimo futuro? Penso che uno degli obiettivi sia non tanto crescere in dimensione e potere, ma testimoniare una diversità nel lavoro e nel fare impresa, nel dialogare tra noi e con la politica affinché noi stessi e la gente possiamo cogliere la differenza rimanendone stupiti.

Noi non siamo il “sindacato degli imprenditori” e non siamo il centro che deve muovere pretese e rivendicazioni. Noi siamo e dobbiamo essere il pungolo di pensiero perché si generi, da parte di tutti, la ricerca del bene comune. Senza abusare nel richiamo di Kennedy noi siamo quelli che si chiedono quello che possono fare per lo Stato. Siamo quelli che, nel loro agire, cercano un approccio realmente “umano”.

Ecco perché, esito di questo lavoro che ci riguarda in prima persona, è recuperare la soddisfazione per il proprio lavoro e per la propria opera. Questa cosa l’ho capita ancora una volta da un’esperienza. Durante uno dei miei numerosi collegamenti con la CDO del Cile il presidente locale mi dice “Noi in Cile siamo una realtà piccolissima. Adesso c’è il cinquantenario di Pinochet, c’è la riforma costituzionale, non riusciamo a incidere, siamo una realtà molto piccola”. Io rispondo di aver pazienza. A un certo punto il Presidente ci dice: “E’ successo che l’altro giorno siamo andati a Santiago da una nostra associata parrucchiera e siamo rimasti lì un’ora e mezza e lei alla fine ci ha detto “voi oggi mi avete resa orgogliosa del mio lavoro”. Questo è quello che vogliamo. Dopo quasi quarant’anni che faccio l’avvocato voglio ancora essere orgoglioso del mio lavoro. Voglio sentirmi utile nel mio lavoro. Questa è la CDO in Italia, in Cile, in Brasile, nel mondo. Tant’è vero che poi quando abbiamo fatto il forum un mese dopo col Brasile e abbiamo raccontato questo aneddoto, il tema del forum è stato la soddisfazione del proprio lavoro, con problemi brasiliani analoghi ai cileni. Questo lavoro ci riguarda in prima persona: recuperare la soddisfazione nel proprio lavoro. E dobbiamo essere capaci di trasmettere questa passione a chi opera con noi. Ecco perché un fenomeno come la “great resignation” è fondamentale. Non perché dobbiamo aiutare i giovani facendo i padri nobili, ma perché è un dramma se non c’è più la soddisfazione per il proprio lavoro. È un dramma per noi, un dramma per le nuove generazioni, un dramma per la società. La società finisce se non c’è più la soddisfazione per il proprio lavoro. Questa è la responsabilità che abbiamo.

Agorà e la compagnia
Ulteriore esito è la compagnia che si dilata in civiltà. Penso alla frase sull’ Agorà del Meeting di don Giussani “Nasce una compagnia. Essa non si origina come luogo di progetti e neppure come schieramento sociale. Essa è un avvenimento socialmente incidente, un esempio per tutti che ci può essere un cambiamento in atto che dentro l’operato normale ci può essere una dimensione strana nuova: la gratuità”.

Questa è una rivoluzione di cui non siamo padroni e una grandissima occasione per la società civile.  Riprendo la mia passione per Bauman, quando egli parla dell’agorà, ma anche Ulrich Beck.

Gente che non ha nulla a che fare con il mondo cattolico. Sono sociologi che dicono come la risposta all’individualismo e alla fine di questa società sono spazi di socialità nuova (agorà di Bauman) e spazi di azione (Beck). Anche Papa Francesco nella enciclica “Fratelli Tutti” invita a cercare una pace sociale laboriosa e artigianale e ci chiede di avviare processi di incontro che possano costruire un popolo capace di accogliere le differenze. Un carissimo amico diceva “la gente va incontrata uno ad uno”, perché è così che si incontrano le persone nel mondo dominato dall’individualismo.

Tornando un attimo al problema del dualismo (distinzione tra pensiero e azione) mi sembra importante richiamare due esempi della mia esperienza in CDO che mi hanno fatto capire cosa aiuta a superare questa posizione. Il primo esempio è un nitido ricordo di un direttivo di CDO Opere Educative cui sono stato invitato in pieno periodo Covid. Quello fu un periodo particolarmente difficile per le scuole. Mi colpì però la ricchezza di iniziative e l’assenza di qualsiasi recriminazione o lamentela nei confronti della situazione o verso soggetti (governo, burocrazia e altro). Mi impressionò il coinvolgimento di genitori e insegnanti fianco a fianco nell’immaginare come organizzare la didattica a distanza e l’aiuto rivolto alle famiglie più in difficoltà. Fin da quando ho memoria, il problema della rappresentanza dei genitori e degli insegnanti è sempre stato “storico”. Come questo problema è stato superato? Coinvolgendosi, tutti, nella realtà drammatica di quei tempi. Ciò ha determinato un nuovo modo di collaborare tra le due componenti, insegnanti e genitori. Il fare insieme in una circostanza drammatica ha reso più consapevoli dell’importanza della collaborazione tra diverse entità che una serie di richiami etici ed organizzativi giusti, ma che non muovevano i soggetti. Il soggetto è mosso da un bisogno. Il bisogno di allora ha spinto le due componenti a lavorare insieme come mai avevano fatto.

Il secondo esempio è recentissimo. Mi raccontava un amico di una nuova collaborazione tra CDO Milano e un’altra realtà associativa molto vicina a noi come origine e come impostazione culturale. Quando ero presidente della CDO di Milano avevo messo in piedi diverse strategie per sviluppare questa collaborazione. Eravamo infatti consapevoli sulla necessità di un lavoro comune tra queste due entità e avevamo “pensato” e avviato alcune (giuste) azioni in tal senso. Coinvolgimento negli organi di gestione, incontri, pranzi. Naturalmente nulla è accaduto per caso. Il tutto è stato possibile grazie a un amico che partecipando alla vita di entrambe le associazioni, si è gettato con entusiasmo a organizzare diversi gesti della CDO. Se uno parte dal proprio bisogno umano raggiunge esiti di coscienza per la propria opera e per la stessa CDO che anni di sforzi etici non riescono ad eguagliare.

Conclusioni per un nuovo cammino
Avviandomi a conclusione mi permetto indicare alcuni punti in cui il metodo del coinvolgimento nella realtà che ci circonda a partire dalla lealtà con il proprio bisogno e con quello dei propri amici può offrire una attrattiva interessante alle donne ed agli uomini del nostro tempo.

Ho già parlato del lavoro. Intendo ribadire come il lavoro è una fondamentale espressione della nostra umanità e la sua crisi è segno di una grande ricerca di senso e di irrequietezza del nostro tempo che ci interpella in modo a mio parere affascinante. Questa crisi del lavoro è una grande opportunità. Ognuno di noi vuole comprendere qual è il senso della sua vita e non vuole che questo coincida totalmente con il lavoro. Dobbiamo proseguire nel cammino di riflessione.

Il secondo punto è il rapporto con i giovani, che riguarda il lavoro ma non solo. Anche qui mi ha colpito un’esperienza che ho fatto prima dell’estate. Sono stato coinvolto da alcuni giovani in una cena. Mi ha colpito la quasi totale incomunicabilità che vi era tra loro. Ed erano tutte persone bravissime. Erano due capi del personale autorevoli di vecchia generazione e questi tre ragazzi giovani bravissimi con una storia di impegno appena partita nell’ufficio del personale. Parlavano due lingue diverse. Il vecchio capo del personale diceva “Io sono stato mandato, mi è stato affidato un compito”, il secondo diceva “Per me il lavoro è sempre stato un sacrificio”. C’era un’incomunicabilità totale, e cosa ha salvato questo frangente? Vi era vera stima e affetto tra loro. Dobbiamo capire se può essere utile creare dei luoghi dedicati ai giovani, e secondo una relazione di amicizia, di ascolto di quelli che sono i problemi. Molti di noi si lamentano, io stesso: “i giovani non sono più quelli di una volta”. Ma se provassimo a vedere queste difficoltà nel comunicare non come una “crisi” ma come un’opportunità per tutti noi? Siamo sicuri che la nostra capacità di comunicare è vera solo a titolo formale? Da cosa parte, qual è l’origine? Cos’è che ci rende comunicatori tra di noi?  È la posizione umana di chi è interessato alla realtà o di chi pensa alla realtà? Questa duplice posizione cambia tutto. Mi sembra un compito urgente non tanto per aiutare loro, i giovani, ma per crescere tutti noi essendo disponibili a imparare e a verificare le nostre incrollabili certezze.

Infine, la capacità di entrare nel merito delle questioni che la vita ci pone, come ci ha ricordato Bernhard Scholz: “senza giudizio non c’è conoscenza, senza conoscenza, tesa a cogliere tutti i fattori, non è possibile una crescita personale e professionale”.

Il rapporto con la politica deve essere teso in primo luogo a creare spazi di dialogo e di conoscenza tra diverse opinioni senza fretta di giungere a tesi definitive, ma con la pazienza di aiutare la politica e la società civile a porsi reciprocamente le “domande giuste” che possano aiutare lo sviluppo civile di questo Paese. Dobbiamo sentirci invitati a riavvicinare gli italiani alla politica superando il dramma dell’astensionismo e della mancanza di rappresentanza.

Da questo punto di vista le elezioni europee potranno essere un’occasione unica, come ha detto molto bene Antonio Polito in un articolo sul Corriere della Sera uscito due giorni fa.  È una grande opportunità perché si parli di Europa e che cosa vuol dire in questo momento fare l’Europa. Qual è il bisogno? L’Europa è partita da un bisogno drammatico dei tre padri fondatori – De Gasperi, Adenauer, Schumann, che l’hanno pensata e costituita con un fine fondamentale: quello di non fare più guerre.

Adesso quel bisogno non c’è più, ma ce ne sono di altrettanto drammatici. Se l’Europa perde questo senso drammatico del bisogno, diventa una grande burocrazia e le elezioni europee in Italia sono fatte per vedere se, come ha scritto Polito, i partiti italiani crescono o meno in consenso. Pensate alla responsabilità che abbiamo, utilizzando luoghi di dialogo affinché questa coscienza venga fuori.

Se non incontriamo la gente sui bisogni, la gente non ci capisce.

Penso che questa sfida del cambiamento sia una grande opportunità per le nostre opere.

Accanto alle difficoltà di questi anni vi sono però i tantissimi risultati positivi raggiunti. Ho per questo un sentimento di grande riconoscenza nei confronti di chi, in questi anni, ci ha aiutato.  Sono esempi e testimonianze che mi hanno fatto capire quanto sia importante per me la CDO e come penso per ciascuno di noi sia importante, a prescindere dai ruoli e dalle responsabilità continuare quell’impegno, non “prima o dopo” ma “dentro” il proprio il lavoro.

Vi auguro di non togliervi più dalla pelle questo lavoro, come sta succedendo a me.

Buon lavoro

Guido

Guido Bardelli Presidente CDO