Ci sono uomini che, con la forza silenziosa delle loro azioni, riescono a incidere nella realtà molto più di quanto mille parole possano fare. Gianni è uno di questi. Non ama mettersi in mostra, ma la sua storia parla da sé: un percorso fatto di fatica, di scelte controcorrente, di una coerenza che non cerca riconoscimenti, ma costruisce senso. Dall’impresa nata da zero fino alla guida di una rete associativa nel pieno di una crisi relazionale post-pandemica, il filo conduttore è sempre stato uno: prendersi cura.
Prendersi cura di un’azienda, delle persone che ci lavorano, dei soci, dei giovani, di una comunità professionale e umana. La sua non è una leadership urlata, ma una presenza solida, credibile, profondamente etica. Perché Gianni non ha mai separato l’impegno professionale da quello personale e spirituale: la responsabilità, per lui, non è un dovere da assolvere, ma un’appartenenza da vivere.
In un tempo in cui tanti si sottraggono, Gianni ha sempre fatto un passo avanti. Lo ha fatto con convinzione, ma anche con quella “misericordia operosa” che riconosce i propri limiti e continua a imparare, anche a settant’anni, con la stessa umiltà di chi sa che nulla si costruisce da soli.
Questa intervista non è solo il racconto di un percorso associativo e imprenditoriale di successo. È un invito a riflettere su cosa significhi davvero costruire, oggi, qualcosa che resti. È la testimonianza di un uomo che non ha mai smesso di cercare il bene, nelle relazioni, nelle sfide, nel lavoro quotidiano.
E ora che il tuo mandato è terminato, che cosa ti aspetta?
Ora passo il testimone a ragazzi meravigliosi, ma il mio impegno non finisce qui. Rimango a disposizione della Compagnia delle Opere, perché quello che mi lega all’associazione è una storia concreta. Continuerò a offrire il mio sostegno, nei modi e nei tempi che saranno utili e nel rispetto delle responsabilità di ciascuno. È stato un cammino importante, umano e professionale. E continuerò a esserci, con discrezione, ma con presenza vera.
Gianni, la tua esperienza associativa è sotto gli occhi di tutti: parlano i numeri, parla la tua storia. Anche come imprenditore hai ottenuto grandi risultati, partendo da zero e costruendo un’azienda unica nel suo genere. Come sei arrivato alla Compagnia delle Opere e cosa ti ha spinto ad accettare quell’incarico?
Sono arrivato in Compagnia delle Opere perché alcuni amici mi hanno chiesto di prendermi cura di un’associazione che, come tante, usciva da un periodo complicato post-Covid. Le relazioni erano compromesse e quando manca il tessuto relazionale, un’associazione perde di senso. Ma questo vale anche per gli imprenditori: oggi tutto si gioca sulle relazioni, sulla credibilità personale, sulla capacità di mantenere gli impegni presi e rendere conto delle proprie azioni. Senza questo, non si costruisce nulla.
Hai sempre dato grande importanza all’etica, sia come imprenditore che come dirigente associativo.
L’etica non è un concetto astratto. È qualcosa che, a partire dall’educazione ricevuta, si costruisce nel tempo, vivendo le esperienze, prendendo decisioni. Per me significa mettere in campo tutto ciò che si è, per fare un tratto di strada insieme ad altri. Non è solo partecipazione, è appartenenza. Certo, non si può decidere tutto insieme, ma si può condividere il metodo. Alla fine, però, qualcuno deve decidere: che sia un imprenditore o un presidente, bisogna assumersi la responsabilità.
Che giudizio dai del tuo operato in questi anni?
Il giudizio lo lascio agli altri. Io so solo che ho dato il massimo, con coscienza. In questo mi ha aiutato anche il messaggio di Papa Francesco, in particolare il richiamo alla misericordia: verso me stesso e verso gli altri. La misericordia non è permissivismo: è attenzione, è comprensione profonda.
In questi anni hai voluto affrontare temi centrali per il futuro delle imprese, come il passaggio generazionale.
Sì, è stata una delle mie preoccupazioni principali. A 70 anni, mi sono chiesto: “Domani chi?” Non potevo pensare di mandare a casa chi aveva lavorato con me per anni. Così è nato un percorso che ha portato all’ingresso di cinque nuovi soci in azienda, persone che si sono assunte la responsabilità di portare avanti l’impresa con i miei figli. Non è un cammino semplice e facile: essere soci implica un cambiamento culturale profondo. Ma la Compagnia delle Opere, con alcuni formatori come Padre Natale Brescianini, ci ha dato un grande supporto. E oggi vedo i frutti.
Il tuo sguardo è sempre stato rivolto anche al sociale. Dalla tua azienda sono nate nuove realtà imprenditoriali che danno lavoro a decine di persone.
Sì, e ne sono orgoglioso. Due nuove aziende, nate da un percorso partecipativo cominciato vent’anni fa. Offrono lavoro e opportunità a circa quaranta persone. Per me, il punto non è solo economico, è la disponibilità ad assumersi una responsabilità. E oggi in Italia, purtroppo, su questo punto molti fanno un passo indietro. Ma quei giovani che hanno fatto un passo avanti sono un segnale importante e da continuare a valorizzare. Le persone sono il primo e più importante patrimonio di una azienda.
Fin dal tuo primo giorno in CDO hai richiamato i valori fondanti dell’associazione.
Assolutamente. La nostra ispirazione è chiara: la dottrina sociale della Chiesa incardinata in una esperienza ed una amicizia nel contesto di comunione e liberazione. Le porte sono aperte a tutti a prescindere da quello in cui ognuno crede ma chiediamo a tutti il rispetto per le esperienze di ciascuno e di mettere in campo una grande libertà di pensiero senza dimenticare da dove veniamo e quali valori ci guidano. Non possiamo vergognarci di essere cristiani e non dobbiamo nasconderci: Il cristianesimo ha generato cultura, innovazione, rispetto della persona imprese e libertà. A mio avviso è un’esperienza insostituibile.
Ti sei sempre dimostrato attento anche alle sfide del presente e del futuro, come l’intelligenza artificiale.
Sì, perché da vecchio ho ricevuto un grande regalo: l’umiltà di accettare di non sapere tutto. E proprio per questo mi ci voglio immergere, capire, partecipare. L’intelligenza artificiale non può sostituire l’uomo. L’uomo deve guidarla, orientarla. Ma se perdi la tua identità, ti asfalta. È per questo che serve un’etica forte, anche nella tecnologia.
Come vedi il mondo del lavoro oggi, soprattutto nel rapporto con i giovani?
È cambiato molto. Prima il lavoro era centrale nella vita. Oggi spesso passa in secondo piano. Nel nostro settore della costruzione e manutenzione del verde non si può lavorare da remoto, quindi serve disponibilità e presenza attiva. Vedo anche ragazzi che rispondono in maniera positiva. Ne abbiamo coinvolti tanti in un percorso partecipativo sulla consapevolezza di sé, e molti hanno colto l’occasione. Certo, il percorso educativo parte dalla famiglia e dalla scuola. Ma quando un ragazzo di 20 anni si presenta da noi, lo accogliamo. Ci prendiamo del tempo per capire insieme se può essere un percorso condiviso. Abbiamo puntato tutto sulla formazione anche professionale perché, faccio spesso questo esempio, se tagli un ramo nel punto sbagliato, non è solo un errore tecnico, è una mancanza di coscienza e al cliente devi saper rendere conto della decisione che hai preso.