Il nostro socio Cooperativa Pandora protagonista dell’inclusione lavorativa in carcere

La Cooperativa Pandora, socia di Compagnia delle Opere di Milano, è stata protagonista di un articolo dedicato alla nuova sperimentazione regionale che porta gli sportelli per l’impiego all’interno delle carceri lombarde.
Nell’articolo il presidente Davide Damiano sottolinea l’importanza di un’alleanza tra profit e non profit per favorire il reinserimento e ridurre la recidiva: «Chi lavora difficilmente torna a delinquere. Il lavoro è dignità e libertà».
Un riconoscimento al lavoro di Pandora, che da anni crea opportunità concrete di formazione e occupazione per chi desidera una seconda possibilità.

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Aprono in carcere sportelli per l’impiego

Al  via la sperimentazione regionale per l’inclusione socio-lavorativa dei reclusi. Si parte da Brescia e Bergamo ma l’obiettivo é tutta la Lombardia Davide Damiano (Cooperativa Pandora): serve un alleanza tra profit e no-profit per garantire la società: tra chi lavora la recidiva é bassissima.

LUCA BONZANNI

Cosa può fare, normalmente, una persona che resta senza lavoro e cerca un’occupazione? Può rivolgersi ai Centri per l’impiego. Partendo da una domanda semplice, la sfida é stata costruire una risposta per un luogo complesso: il carcere. E il senso della sperimentazione lanciata in Lombardia dalla Regione insieme al Provveditorato dell’amministrazione penitenziaria, all’ Ufficio interdistrettuale per l’esecuzione penale esterna e a Sviluppo Italia, società del ministero del Lavoro: aprire all’interno degli istituti di pena uno sportello, gestito appunto dai Centri per I’impiego, cosi da favorire l’inclusione socio-lavorativa di chi cerca un occasione di riscatto.

La sperimentazione partirà da Brescia (sia a Canton Monbello sia a Verziano) e da Bergamo, ma obiettivo  estenderla alle altre strutture della Lombardia. «Questo progetto – ha spiegato Simona Tironi, assessore regionale allIstruzione, Formazione e Lavoro – rappresenta un passo fondamentale verso una politica del lavoro realmente inclusiva, capace di offrire opportunità a chi si trova in una condizione di fragilità. Restituire alle persone detenute la possibilità di formarsi e lavorare significa dare loro una prospettiva di cambiamento reale e duraturo. II lavoro non é solo un reddito: é dignità, autonomia, libertà». Fondamentale é il dialogo: «Molte aziende lombarde – aggiunge Tironi – hanno già dimostrato sensibilità verso questi temi. Con il loro contributo possiamo trasformare una sperimentazione in una buona pratica stabile, capace di ridare fiducia e valore alle persone, rafforzando insieme legalità, lavoro e coesione sociale». E questo il cambio di passo necessario, e sono i numeri a suggerirlo. Secondo gli ultimi dati del ministero della Giustizia, circa il 37 dei detenuti svolge un attività lavorativa.

Formalmente, é un totale di oltre 3mila reclusi: circa 2mila di questi, però, sono occupati nei cosiddetti «servizi d’istituto», cioè svolgono piccoli compiti di manutenzione o di gestione all’interno delle carceri alle dipendenze dell’amministrazione penitenziaria; sono invece appena un migliaio (su circa 9mila e Sistema Italia detenuti in totale in Lombardia) quelli che lavorano per conto di aziende esterne al circuito penitenziario, soprattutto cooperative e in misura minore aziende. Chi segue da vicino il tema invoca appunto una sinergia tra questi diversi mondi: «Solo l’alleanza tra profit e non profit può permettere di raggiungere l’obiettivo di un più capillare ed efficace reinserimento – riflette Davide Damiano, presidente della Cooperativa Pandora, realtà associata a Compagnia delle Opere di Milano che da un lustro opera in questo ambito-.Questo é un investimento che genera anche un risparmio per la collettività, perché la recidiva si abbatte. Serve coraggio da parte delle istituzioni».

Ma come si può garantire una seconda chance? La storia della Cooperativa Pandora racconta di un centinaio di inserimenti lavorativi – tra il 2020 e oggi – di persone provenienti dal circuito penale, tra laboratori interni alle carceri di Monza e Bollate ma anche esterni. Molti di loro, scontata la pena, sono stati assunti a tutti gli effetti; in alcuni casi hanno raggiunto anche ruoli di responsabilità. « decisiva la presa di coscienza, la consapevolezza della persona coinvolta, la responsabilizzazione rispetto a cid che é successo nella propria vita – spiega Damiano -. E poi non bisogna essere soli: noi abbiamo il supporto scientifico della Fondazione Eris (nata in particolare per rispondere alle dipendenze da sostanze, ndr) e collaboriamo con altre realtà del territorio». Con determinazione e creatività si possono superare anche alcuni scogli burocratici che rendono complicato I’accesso a misure alternative: «Una delle difficolta maggiori é l’assenza di un domicilio o una residenza fuori dal carcere» – ricorda Damiano -. Su questo stiamo sviluppando un progetto: puntiamo a creare una piccola comunità residenziale per chi potrebbe scontare una pena domiciliare, integrando in questa struttura assistenza, formazione e lavoro».